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mercoledì 23 maggio 2018

Grá - Väsen

#PER CHI AMA: Scandinavian Black, Dissection, Dimmu Borgir
Mea culpa, mea culpa, mea grandissima culpa, perchè gli svedesi Grá sono al terzo album, e io li ignoravo completamente. Mea culpa. Perché tra le sue fila c'è tal Heljarmadr, voce prestata all'ultimo lavoro targato Dark Funeral (e non solo). Mea culpa. Perché la band di Stoccolma propone un sound che di base è un black metal in stile scandinavo (un mix del meglio di Svezia e Norvegia), sebbene poi si destreggi egregiamente nei meandri di sonorità pagane. L'opener, "Till Sörjerskorna", strizza l'occhiolino ai maestri svedesi, ma la sua maestosa furia iniziale evolve in un black mid-tempo, mi ha riportato alla memoria i Dimmu Borgir delle origini, di quel mitico 'For All Tid' che fece conoscere la band norvegese al grande pubblico, anche se i Grá risultano decisamente meno tastierosi e più votati a trame chitarristiche tremolanti. Però quell'aura di mistero, quello screaming che per certi versi richiama proprio Shagrath e gli arrangiamenti davvero azzeccati, mi fanno appassionare fin dall'inizio, a questo 'Väsen'. La ricerca di qualche effetto elettronico invece scomoda qualche paragone con i nostrani Aborym di 'Generator'. La cavalcata in mezzo alla neve continua con "King of Decay" e le sue sfuriate belliche in stile Gorgoroth, che trovano attimi di pace in rallentamenti più ragionati. “Hveðrungs Mær”, che sfodera un inizio quasi esoterico, ha in serbo un black glaciale soprattutto nelle sue parti più tirate ma anche in quelle più rallentate, dove peraltro ho rivissuto la gioia dell'ascolto di "Blashyrkh" degli Immortal. È con "Krig" però che i nostri mi rapiscono totalmente: la song offre un sound maledetto, inesorabile, una voce che sovrasta e arresta completamente la musica, in un'atmosfera surreale che fa emergere tutto il maligno che c'è dentro al quartetto svedese ma anche dentro noi stessi. Eppure non è una song rabbiosa, feroce come le altre (e come potrebbe essere in seguito la thrasheggiante "Dead Old Eyes"), ma sicuramente è quella con l'impianto ritmico più epico e suggestivo. “Gjallarhorn” apre invece con una massiccia dose di synth, prima di esplodere in un'arcigna galloppata dalle ritmiche sghembe e instabili, ma sempre maledettamente efficaci. "The Devil’s Tribe" evoca nuovamente i Dimmu Borgir più atmosferici e ruffiani (nell'accezione positiva del termine), in un incedere lento e sinuoso. La conclusione è affidata alla tagliente title track, uno Swedish black di scuola Dissection che oltre a mostrare le classiche linee di chitarra della scuola svedese, ci delizia con raffinati arpeggi, che spezzano quella tormenta di ghiaccio che si abbatte impietosa sulle nostre teste. (Francesco Scarci)

(Carnal Records - 2018)
Voto: 80

https://grahorde.bandcamp.com/album/v-sen